domenica 29 settembre 2013

Giancarlo Sissa: tra insonnie da manuale e costellazioni di altalene - Recensione di Cinzia Demi


Dai titoli dei sui libri, che appaiono quasi come proposte surreali, una poesia del fare, della concretezza, della pienezza delle cose. E dell’esperienza che diventa maestra di vita per la sua poetica.


Giancarlo Sissa è nato a Mantova nel 1961. Vive a Bologna. Francesista e traduttore, suoi racconti e poesie sono comparsi su numerose riviste. Come poeta ha pubblicato nel 1997 Laureola (Book Editore, postfazione di Alberto Bertoni), nel 1998 Prima della tac e altre poesie (Marcos y Marcos, prefazione di Giovanni Giudici), nel 2002 Il mestiere dell'educatore (Book Editore, postfazione di Alberto Bertoni), nel 2004 Manuale d'insonnia (Nino Aragno Editore, postfazione di Roberto Galaverni) nel 2008 Il bambino perfetto (Manni Editori, postfazione di Antonio Prete). E' presente in diverse antologie fra cui L'occhio e il cuore, poeti degli anni '90 (Sometti, 2000, a cura di Mauro Ferrari e Alberto Cappi), Il pensiero dominante, poesia italiana 1970-2000 (Garzanti, 2001, a cura di Franco Loi e Davide Rondoni), Le parole esposte, fotostoria della poesia italiana del novecento (Crocetti, 2002, a cura di Niva Lorenzini), Poesia della traduzione (Sometti, 2003, a cura di Alberto Bertoni e Alberto Cappi), Parole di passo, trentatre poeti per il terzo millennio (Nino Aragno, 2004, a cura di Raffaele Crovi), Trent'anni di Novecento (Book Editore, 2005, a cura di Alberto Bertoni), La linea del Sillaro (Campanotto, 2006, a cura di Matteo Fantuzzi), Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto, 2008, a cura di Enrico Cerquiglini e Luca Ariano), Calpestare l’oblio (Argo, 2010, a cura di Davide Nota e Fabio Orecchini), 100Thousand Poets for change primo movimento (qudu libri, 2013) . Le sue poesie sono tradotte in diverse lingue europee. Per Gallo et Calzati Editori ha curato nel 2004 Poesia a Bologna, raccolta di scritti autobiografici di diversi autori. Ha collaborato come diarista e attore con il Teatro delle Ariette.
Conosco Giancarlo Sissa da parecchi anni e dagli stessi anni lo seguo e leggo, lo incontro ai convegni o alle letture di poesia. Tuttavia non ci eravamo mai parlati a lungo. Solo qualche saluto, qualche frase di circostanza. In questi giorni invece, complice l’AmoBologna Poesia Festival 2013 - organizzato dal Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna - a cui entrambi abbiamo partecipato, è come scattata una scintilla, è come se ci fossimo incontrati e ascoltati per la prima volta. Ci siamo rivisti, seduti davanti a un buon thè, in un angolo di Bologna, abbiamo parlato di noi e della nostra poesia. Abbiamo scambiato le nostre impressioni e le nostre esperienze, si potrebbe dire che abbiamo fatto un’esperienza poetica dal vero, come dovrebbe essere tutta la poesia. Mi piace Giancarlo. E’ schietto e profondo. Non nasconde nulla del suo pensiero, lo rende in poesia come una verità che può anche fare male, ma che è necessaria. Mi ha inviato alcuni inediti che pubblica per la prima volta proprio per la mia rubrica, scelti dal suo nuovo libro dal titolo veramente sorprendente e un po’ fiabesco: “La costellazione delle altalene” e mi ha dato uno dei suoi libri preferiti “Manuale d’insonnia” edito da Aragno. Mi ha parlato dei suoi maestri tra i quali spicca fra tutti Giovanni Giudici che agli esordi parlò di lui come di un “tenero poeta d’amore” ma “con l’originalità di una sobria grazia che già in partenza dissipava fumosità e scorie, insomma, ogni pur lontano sospetto di facile sentimentalismo”. Cercherò di proporvi una mia lettura sia dell’edito che dell’inedito, sperando di farvi apprezzare questo poeta così come lo apprezzo io stessa.

Manuale d’insonnia (Nino Aragno Editore, 2004)

Ad una prima lettura, solo formale, sembrano liriche le poesie di questo libro di Giancarlo Sissa, il terzo delle sue pubblicazioni, e in parte lo sono. I suoni che ritornano in rime e assonanze interne e finali, rendono i testi musicalmente orecchiabili a un eventuale ascolto, facili da ricordare, se pure non così elementari - certo frutto di un attento studio di poeti rimatori ma anche di un orecchio molto fine ed allenato alla musica -. Il lirismo di Sissa, in questo lavoro, si rapporta spesso anche con le immagini che i versi propongono e che fungono da liaison al discorso d’insieme della sua poetica che tocca quasi sempre i temi più alti dell’interrogarsi sulla vita, sul perché delle cose, del rapportarsi con contesti locali o con status presi a spunto per raccontare l’importanza della vita, le problematiche sociali, gli ideali a volte sconfitti dal procedere degli eventi. Spesso sono gli omaggi o le concordanze con altri poeti, con amici, con maestri o compagni di viaggio - nel percorso poetico stesso -; spesso sono i viaggi di notte nel cuore di Bologna; altre volte, come dice giustamente Roberto Galaverni nella post-fazione al libro, Sissa procede «[…] accentuando, ed anzi esasperando le componenti instabili e irrisolte, e con forza tanto maggiore quanto più qui (egli) predilige e riconosce come territorio poetico più congeniale le zone così dette “basse” dell’esistenza, le contrade della sconfitta, dell’ingiustizia e del dolore.»

Poeta di suoni dunque Sissa e di metafore musicali, dai contenuti forti, a volte magari anche troppo esposte alla violenza e all’irruenza dei toni, di qualche parola che scappa dal coro, di qualche irriverenza certo voluta, ritenuta insostituibile, che può turbare la lettura perché spesso arriva inaspettata lancia nel dondolio del ritmo.
Un esempio della concordanza tra suoni e immagini lo troviamo subito nel testo che apre la raccolta dove la sensazione del perdersi nell’abisso della vita è raccolta nella metafora dell’ascolto delle foglie ruzzolate dal vento sul ciglio di una strada statale, sapientemente rafforzata dagli elementi delle parole-suono vento/silenzio male/statale mentre la salvezza, che pare al poeta possibile solo in un ritorno all’età giovanile, viene ricostruita con le assonanze tra morte/sorte e vino/bambino in un gioco di rimandi dove la pianticella di fagioli si erge a cardine di una vita semplice e genuina dov’era possibile anche sognare.

Quello che mi interessa è l’abisso
iniziale, non quello definitivo, quello
qualcuno lo chiama paradiso, io sto
nel vortice dell’ombra invece
che ruzzola a un buio vento
le foglie sul ciglio della statale
e in silenzio ascolto il nostro male
- questa notte vorrei sognare
immobile l‘aratro della morte
non avere conosciuto vino mai
o diversa sorte resuscitare
una pianticella di fagioli
seminata da bambino -


Nella sezione dal titolo “Operai” prendono corpo, tra gli altri, alcuni componimenti che descrivono, dice lo stesso autore in una nota a fine libro, persone e fatti realmente accaduti. E’ qui che la mano del poeta, a mio avviso, si fa più arguta come se dalla trasformazione di qualcosa di reale, di vissuto o visto, in versi si trasponesse tutto il senso di drammaticità dell’esperienza umana. Come se gli spunti presi dalla vita bastassero da soli a fare poesia, l’avessero raggiunta per conto loro e prima della mente-mano del poeta la fossero già diventata in qualche modo, trascesi nel contesto stesso in cui sono nati tanto da poterne creare degli altri simili:

… il quarto, se esiste o è esistito
non ricordo bene, poteva essere
il più normale… forse un ragioniere
… e ci penso, a volte, s non lo so
perché nel tempo l’ho scordato
oppure se me lo sono inventato
per illudermi comunque
che qualcuno li ha pensati, liberi
ma non persi… liberi anche
da questi versi… giovani loro,
insultati e malmenati, quando io
ero bambino a giocare vicino
alle loro trascurabili esistenze
e scordate in notti di nebbie
e di gelate, per caso in una Mantova
per così dire “superiore” ai biechi
casi della vita, mi sono ritrovato,
senza un perché, questa mattina,
a contarli sulle dita…

Naturalmente ogni sezione del libro meriterebbe un’attenta analisi perché, oltre a far parte di un’unica raccolta, è anche un mini-libro a se stante, un piccolo universo del quale si potrebbe discorrere a lungo. Qui mi limiterò tuttavia a segnalare, ai lettori della rubrica, un’ultima parte della raccolta, lasciando la curiosità di leggere il resto, di appropriarsi anche personalmente della consistenza dei testi, di prendere familiarità con il poeta stesso.

Dalla sezione “Ansie” è facile capire come Sissa ci tenga a inserire la sua poesia anche nelle pieghe delle vastità dell’animo umano, nelle ferite della mente, nel cuore di ciò che ancora oggi ci rende forse infelici o forse solo più storditi. L’ansia, la malattia del secolo, quel sentire che non ci fa stare sereni, che rende senza gusto tutto ciò che facciamo perché surclassato da un continuo e nuovo stimolo a fare meglio, a fare di più, a far altro… giusta la lettura del poeta che non può nascondersi, che deve raccontare, che cerca anche di spiegare. Musiche ancora ritornano, immagini come piccoli lampi del quotidiano, del mattutino come se ad aprirsi su questa sensazione bastasse già l’alba, preludio di ogni turbamento del giorno. E’ l’autobus, certe volte, il luogo prediletto dell’autore, il luogo dove le ansie rendono corpo, si associano a sentimenti, colori, odori in un turbinio quieto con cui imparare a convivere.

Impossibile ripristinare? tornare
a cercarti nelle periferie del pensiero
- e quasi sempre il meno vero -
fra corsi, ricorsi, viali attoniti
nella nebbia mattutina, stretto
alla sbarra del quattordici o del diciannove
sognarti un poco nel quotidiano
tragitto d’autobus intenta al caffelatte
del tuo cuore, dove non piove


Inediti: “Metafisiche” da “La costellazione delle altalene”


Cerca settembre? chiede l’anziana voce
ombra dall’ombra del giardino deserto
e l’azzurro dello sguardo resta impigliato
nel soffio acceso del mare aperto dove sbava
l’inutile risposta che già sconta e lava
il suo tempo oltre ogni cosa
*****

Fra le foglie fanno tana a notte
ridendo nel sonno che frana
camminando sulla neve il loro passo
breve dandosi di gomito badando
bene a non svegliarsi l'un l'altro
dal gelo a non sporcarsi di fango
di pezzi di notte e alto nel cielo
corpo di croci la parola ossidata
delle perdute voci e zampe
nello sguardo (dove l'amaro
fiato del ritardo delle fradice
foglie le nere falene d'ignobili
voglie - ) o forse poi solo sono
i passi dal buio del corridoio
dove passiamo torniamo mai
ricompariamo - come siamo
buoni quando non speriamo -
il cane che mastica orizzonte
e croce l'ottusa fedeltà di ogni
perduta voce - il replay del fiume
che risorge a nessuna foce -


*****

Maestro

(a Giovanni Giudici)

I

Io e qualcun altro forse un tempo
inquieti esploratori di sentenze
e assenze amorose e tribunizie
o molesti cacciatori di primizie
e rose accese a lunari vini de La Serra
luccicanti a nuovi mari o in bicchieri
mezzi pieni mezzi vuoti del solito ieri
del pianeta Terra io e qualcun altro
amici, Maestro, col coraggio
goloso di pavide pernici e col sorriso
maldestro e un poco sghembo d’insoliti
ammiratori conversando da poeti
e traduttori dello splendido niente
che chiamiamo poesia e soli francamente
fra quella che pareva la nostra gente così
poco consapevoli in fondo dei futuri
voltafaccia e dell’impaccio di non trovare
più la traccia o un bisbiglio d’ombra
decente dove riparare rabbia e vergogna
o quel poco che ci resta dopo il gioco
della fuga innamorata, della menzogna.

Io e qualcun altro forse un tempo
o recentemente noi di nuovo maldestri
e alquanto sghembi, il nostro niente …


*****


Questi inediti ci fanno ben sperare nel nuovo lavoro di Giancarlo Sissa. Già l’accattivante titolo della raccolta “La costellazione delle altalene” ci introduce nella dimensione del fiabesco e della leggerezza, ottime compagne della poesia. In un’atmosfera rarefatta di mancanza di gravità dove orbitano sentimenti e, vivaddio, poesie che vogliono lasciare un segno, una traccia indelebile del loro passaggio. Poesie che saranno certo soggette a più interpretazioni e di cui voglio dare la mia. Cosa dice l’autore in questi testi? Nel primo è una voce misteriosa – una Babaiaga? – che chiede a chi cerca un settembre o chissà quale cosa, quale momento… ma la domanda sfuma perché la risposta sembra scontata in un tempo che anch’esso va oltre, va aldilà di ogni cosa; nel secondo siamo entrati nel bosco, abbiamo oltrepassato il liminare e la tana di foglie, la neve, l’aiutarsi gomito a gomito, sembra sorreggere una croce, la croce di tutti, da cui forse non risorgerà nessuno ma a cui tutti guardano se pure con ottusa fedeltà; il terzo testo, conversazione-omaggio al suo maestro che, come già detto, Sissa riconosce in Giovanni Giudici, è una sorta di invocazione, se vogliamo, mista all’interrogazione su cos’è oggi la poesia, su cosa si basi, se sia ancora utile confrontarsi col niente o col tutto per fare poesia necessaria… poesia di cui essere innamorati, senza menzogna, poesia come quella del nostro autore, di Giancarlo Sissa del quale mi sembra di poter condividere l’innamoramento per la poesia, che è innamoramento della vita stessa.


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