giovedì 26 settembre 2013

L’evoluzione della figura paterna dall’Ottocento ad oggi - Saggio di Caterina Camporesi




Intervento presentato il 29 giugno 2013 nella Rassegna di incontri con la poesia organizzata da Casa Moretti in “La voce dei padri e il dialetto della lingua Madre”, curato da Alessandro Ramberti.

Nell’Ottocento il padre è una figura forte, di granitica autorità: per diventare adulto il figlio deve attraversare le famose “Forche Caudine” superando prove titaniche. Rolland Jaccard , studioso di psicoanalisi in rapporto con il pensiero del Novecento, parlando della vita e della filosofia di Ludwig Wittgenstein delinea un ritratto terribile del padre, che esige dai figli l’impossibile , tanto è vero che tre di loro, non riuscendo a corrispondere all’ideale paterno lungo il corso della vita hanno scelto il suicidio.
A quei tempi la lotta con il padre è una questione di vita e di morte; rimanda alla tragedia di Edipo, quando nella lotta per il possesso della madre, solo uno dei due vivrà, cioè il vincitore.
Certamente il mito suggerisce che senza lotta non si diventa adulti, chiaramente non si tratta di uccidere realmente il padre, ma solo simbolicamente.
Comunque, più la lotta è dura, più potente sarà l’identità conquistata.
Senza una forza che contrasta non si avanza: è questo che la metafora kantiana sulla colomba, suggerisce.


La colomba può innalzare il suo volo solo grazie alla resistenza dell’aria che incontra.
Ecco alcuni testi di autori dell’Ottocento e del primo l Novecento che testimoniano la difficoltà del bambino a entrare nella vita, sia quando manca la presenza del padre, o quando la sua presenza stimola un conflitto eccessivo, sia quando la sua inadeguatezza produce un lotta interiore o addirittura suscita vergogna.

Il bambino perduto (William Blake)

Babbo, babbo, dove vai?
Oh, non camminare così veloce.
Parla, babbo, parla al tuo bambino,
o io mi perderò.
La notte era scura, nessun padre c’era;
il bimbo era bagnato di rugiada;
il fango era profondo,
e il bimbo pianse,
e la nebbia svanì fugace.

Libero Bigiaretti

Sei sceso sottoterra,
io aspetto la mia ora.
Tra noi non c’è più guerra
ma mi ferisci ancora.

Mio padre è stato per me un assassino (Umberto Saba)

Mio padre è stato per me “l’assassino”,
sino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
Allora ho visto che egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più di una donna l’ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre.”
Ed io più tari in me stesso lo intesi:
erano due razze in antica tenzone.

Piazza Saint –Bon (Giovanni Giudici)

Sbràita il decoro il creditore, infierisce
sull’insolvente, gli minaccia galera,
fa adunare la gente del passeggio serale:
il giusto chiede giustizia al procuratore del re.

Gli è contro solo il bambino che trema
di paura e vergogna, ma che finge
di appartenere ad altri – non si stringe
al genitore maltrattato.

Il figlio del debitore – io
sono stato.

Per il mio padre pregavo al mio Dio
una preghiera dal senso strano:
rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo.

Il Novecento determina conoscenze nuove e cambiamenti sostanziali nella rappresentazione dell’infanzia, dandole statuto di dignità, diritto di parola e di critica.
In passato si pensava che il bambino fosse qualcosa di inerte, che non avesse una vita propria, che non avesse pensieri, che non provasse desideri, che non avesse capacità di osservazione; non è assolutamente così .


“L’Interpretazione dei sogni” di Freud inaugura la ricerca psicoanalitica e ci offre un’immagine del bambino molto più complessa e meno “innocente” di quanto sino allora si riteneva.
Freud parla di un soggetto “perverso e polimorfo”, vale a dire di un soggetto che ricerca il piacere utilizzando zone del corpo che non sono necessariamente gli organi riproduttivi.
Lentamente ma inesorabilmente, lungo tutto il Novecento avviene un cambiamento sostanziale nei rapporti tra le generazioni: i figli conquistano il diritto di parola e di critica nei confronti degli adulti.
La lettera di Kafka al padre ne è la prova più emblematica.
Intanto la trasformazione industriale determina un cambiamento epocale:la società si laicizza profondamente, non si affida più al sacro-religioso per legittimarsi, e la religione perde i vigore.


Sabino Acquaviva nel 1960 è il primo a teorizzare l’ “eclissi del sacro” come di un fenomeno che svuota di significato i riti, non garantendo più l’esperienza del “radicalmente Altro”.
Lungo il “secolo breve”, come E. Hobsbawn definisce il Novecento, avvengono altri mutamenti profondi che scardinano le fondamenta della struttura sociale.
La morte di Dio, alla quale fa seguito quella delle ideologie, toglie senso e orizzonte, privando l’essere umano di sostegno, lo lascia inerme in un profondo smarrimento .
Nel tentativo di liberarsi e di Dio e di istituzioni rigide e di Padri, viene meno quel sano ed inevitabile conflitto, che segna il passaggio da una generazione all’altra, tra adulti e giovani, così gli esseri umani nell’ultimo quarto del secolo scorso si sono trovati del tutto impreparati all’impegno e alla responsabilità. 


Se nel movimento del Sessantotto il conflitto con l’autorità istituzionale e paterna si esprime attraverso lo scontro frontale, negli anni settanta con la eclissi del sacro, del padre e delle ideologie, l’ essere umano si trova di fronte a strutture sociali con gerarchie deboli e quasi prive di autorità visibili.
Tuttavia, il potere continua ad operare, disseminandosi e spostandosi su soggetti collettivi meno personalizzati, come i Partiti.
Nel ’76, il movimento che segue il Sessantotto, il conflitto generazionale si avvia verso un “processo di cancellazione simbolica della differenza generazionale”, come dice in modo pertinente lo psicanalista Massimo Recalcati.

L’autorità, sia familiare che istituzionale si sgretola o addirittura “evapora” e il conflitto fra generazioni si mimetizza, non trasmette più eredità morali e ideali fra le generazioni di padri e figli e di adulti e giovani.

Deleuze e Guattari, con il loro pensiero espresso nel volume “L’Anti-Edipo”, sono in quegli anni il punto di riferimento teorico del movimento del ‘77.
La loro teoria, interpretata più o meno correttamente, favorisce la liberazione dalla colpa, assecondando l’ anarchia dei flussi del desiderio.
Nasce il mito dell’autoreferenzialità che, disconoscendo il debito dell’ eredità e della tradizione, porta al rifiuto di ogni possibile integrazione generazionale.
Si pensa, a torto, di potere fare a meno dei Padri, di potersene liberare senza pagare nessun prezzo, ma l’unico modo di liberarsi di loro è quello di essere in grado di servirsene attraverso un conflitto aperto, doloroso, faticoso.
Solo così avviene la differenza con i padri, solo così si diventa soggetti pacificati.
Il settantasei, invece, avvia un processo nel quale il conflitto generazionale anziché segnare la differenza tra le generazioni, determina la cancellazione simbolica della differenza; il desiderio si sgancia dalla legge.


Da qui la tendenza a rifiutare il debito generazionale, a pensare che si possa cominciare da zero e di potere farsi da soli il proprio nome.
L’evaporazione del Padre e della politica comporta oltre che la regressione, l’ inversione dei ruoli: il padre vuole essere figlio e il figlio è costretto a fare il padre.
Il compito dei nostri tempi, non è più quello di contestare l’eccesso di autorità, di trasgredire la legge, bensì quello di dare forza alla legge, di avere guide autorevoli, competenti e normative che sappiano assumere la funzione orientativa e di guida nei confronti dei figli e dei giovani.
L’ evaporazione del padre e della politica è ben rappresentata da Nanni Moretti in due scene dei film: “Habemus papam” e “Palombella rossa”.


In Habemus papam particolarmente emblematica è la scena dove il Papa, il rappresentante di Dio sulla terra non sa più parlare, piange come un bambino smarrito.
E’ qualcosa di più di una regressione momentanea è l’annuncio appunto di una inversione di generazione: gli adulti diventano bambini, hanno bisogno di protezione, si sentono persi e non trovano le parole per indicare alcuna strada.
Con le dimissioni di Papa Benedetto sedicesimo ci troviamo, tuttavia, di fronte ad un atto di grande coraggio e umiltà nel riconoscere e accogliere la dimensione del limite per lasciare spazio a nuove figure.
Nella scena del film “Palombella rossa” è il segretario del partito di sinistra che non può rispondere alle domande dell’intervistatore perché ha perso la memoria.

Non si tratta di rottamare, ma di capire i propri limiti di fronte a situazioni complesse e complicate.
Nella società attuale sembra che i padri non sappiano né trasmettere la loro esperienza ai loro figli, né accettare la fine della loro esperienza, tanto meno quella di lasciare la scena.
Ci troviamo di fronte a un prolungamento infinito dell’infanzia così incontriamo genitori, che non essendo in grado di assumere i ruoli che competono loro, diventano essi stessi dipendenti dal riconoscimento e dall’amore dei figli: l’inversione generazionale, come si diceva sopra .
Edipo, Narciso e Telemaco sono tre figure che rappresentano tre posizioni per essere figli nei confronti del padre. Sono le tre figure che dall’Ottocento hanno solcato il Novecento sino ai nostri giorni.


Massimo Recalcati ce le presenta e descrive nel volume “Il Complesso di Telemaco” .
Edipo, lo abbiamo incontrato agli inizi di questo intervento: è colui il quale ingaggia la lotta con il padre, riconoscendolo come detentore della Legge.
Narciso, personaggio che ha popolato l’ultimo quarto di secolo scorso, è colui che è auto-centrato, colui che rimane sterilmente fissato alla propria immagine in un mondo che ha smarrito la dimensione dell’Altro e degli altri.
L’egemonia di Narciso ha significato” il mito dell’espansione fine a se stessa che ha prodotto la tremenda crisi economica ed etica che attraversa l’Occidente” .
Le nuove generazioni appaiono sperdute tanto quanto i loro genitori. Questi non vogliono smettere di essere giovani, mentre i loro figli annaspano in un tempo senza orizzonte , soli, privi di adulti credibili.


Telemaco, è la figura nuova, che chiede una figura di padre autorevole, che sappia aiutare il giovane a vivere con slancio e vitalità.
Telemaco è il figlio giusto che vive il padre come una risorsa , da lui si aspetta che rimetta in campo la legge. Egli non rimane passivo di fronte all’assenza - si muove alla ricerca del padre Ulisse, capace di ripristinare la legge..
La domanda delle nuove generazioni non è più quella di trasgredire la Legge, ma la ricerca di un adulto che sia in grado di testimoniare l’alleanza tra Legge e Desiderio.
Tre testi poetici per concludere:

Alfonso Gatto

Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranza di poveri di cielo,
io troverei un pianto di bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
“com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro il sonno”. Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.

Rocco Scotellaro

I padri della terra se ci sentono cantare (mi è stata suggerita dal poeta e critico Vincenzo D’Alessio)

Cantate, che cantate?
Non molestate i padri della terra.
Le tredici streghe dei paesi
si sono qui riunite nella sera.
E solo un ubriaco canta i piaceri
delle nostre disgrazie.
E solo lui può sentirsi padrone
in quest’angolo morto.
Noi sapremo di vincere la sorte
fin che dura la narcosi
del mezzo litro di vino,
se il coltello dello scongiuro
respinge le nubi sui velari
nei boschi dei cerri,
se la campagne scacceranno
il vento afoso che s’è levato.

Ma i ciottoli frattanto
si affogheranno nel vallone,
i fanciulli vogliono cogliere
bianchi confetti della grandine
sulle lastre dei balconi.
La grandine è il trofeo
dei santi maligni di giugno
e noi siamo i fanciulli
con loro alleati
tanto da sorridere
sulle terre schiaffeggiate.
Ma così non si piegano gli eroi
con la nostra canzone scellerata.
Nei padri il broncio dura così a lungo.
Ci cacceranno domani dalla patria,
essi sanno aspettare
il giorno del giudizio.
Ognuno accuserà. Dirà la sua
anche la vecchia sbiancata dai lampi:
lei contro la grandine
spifferava preghiere sul grembo
dalla porta a terreno della casa.

Gaetano Arcangeli

Padre caro, vorrei riudire
che quello, lontano, è il faro
di Cesenatico, forse, rivedere
i lumi della costa vacillare
ancora, al dubbio della tua risposta…

Riabbandonarmi sulle tue ginocchia
a spiar la tua voce fredda e alta
pungere la Via Lattea sensitiva,
e alla blanda vertigine del sonno
che dal tuo appoggio declinava al mare…

Radi fiori esalavano in ascolto
da un scarpata, l’incerto tuo dire
di treni fragorosi, ad echi alterni,
arrivanti, di vento e di silenzio,
apriva, cauto, i colori del disc…

umili si colmavan le tue pause
di tali attese, io ascoltavo con te;
trepidavamo di stelle e di arrivi.
…Riudir la tua voce; quell’evento
serale della pacifica estate.

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