venerdì 23 agosto 2013

L’agenzia di Giovanna, Gioele e il figlio di Domenico Castoldi - racconto di Costantino Simonelli



Io sono Giovanna, una donna di ventisette anni. Sono sposata da due con Franco e c'ho pancia.

Il mio dentro, quando che nascerà, abbiamo discusso con mio marito sul suo nome: si chiamerà Gioele. Non chiedetemi perché. Ci è piaciuto quel nome così, a sentircelo ripetere: io a lui e lui a me. Ce lo siamo detti, io e mio marito, e ci è piaciuto l'un l'altro sentircelo dire: Gioele.
I nonni, da ambo le parti, sono rimasti un poco, come si dice, scornati. Loro si aspettavano un nome diverso, uno di quelli nostri, s'aspettavano. Specie mio padre, Carmelo, s'aspettava che lo rinnovassimo. Ma chiamare Carmelo Caluori mio figlio e nipote di Carmelo Garbossi e di Libero Caluori, marmista funerario, mi dava l’idea che nella nostra famiglia, passando il tempo, non sarebbe cambiato niente.
Così. invece, io mi tocco la pancia e lo chiamo Gioele. E così penso pure di possedere un'agenzia di viaggi.

La nostra è una famiglia che da cinquantant'anni fa pompe funebri.
In città Carmelo Garbossi è un nome di rispetto in fatto di tristi circostanze.
Il motto di mio padre e dei miei fratelli è : "il più tardi possibile, ma quando è il momento, meglio la professionalità della ditta Carmelo Garbossi e figli."
E figli.
Con questo motto hanno fatto, dagli anni settanta fino alla fine degli anni ottanta, la pubblicità tra il primo e secondo tempo dei film al cinema.
Adesso, all’idea che il mondo stia cambiando e che i film a cinema non li vede più nessuno, abbiamo pensato di fare la pubblicità su di quei cartelloni luminosi al centro della città, dove ci sono i semafori; di quei cartelloni in cui le lettere si accendono e si spengono, s'inseguono, si rincorrono e fuggono in un passare di qualche secondo; e poi di nuovo si ripetono. E così indefinitamente, tanto che diventano utili perché gente ferma al semaforo possa leggere il messaggio a bordo delle proprie automobili. E magari fare gestacci o toccarsi nelle proprie intimità. Perché così succede, che la morte, come tutte le cose troppo serie, troppo serie per prenderle per troppo tempo sul serio, alla fine sfogano il lato comico della faccenda.
Ultimamente ci siamo intrufolati con lo spot pure tra la fine dei telegiornali ela rubrica sportiva di certe tivù locali. Adesso, a breve, apriremo anche un sito su Internet.
Il motto è sempre lo stesso. Indefessamente così, da trent'anni: "il più tardi
possibile, ma..."
Devo dire che io, l'ultima ruota del carro, la piccolina della famiglia e l'unica laureata, in sociologia, mi sono sprecata all'inizio a dire che la morte, pure quella liturgia e quel folclore che fa da contorno alla morte, va trattata con più tatto. Tanto più tatto.
Io, però, sono l'ultima figlia di tre che fanno questo mestiere. E gli altri miei due fratelli sono già da tempo mariti e genitori fatti. E poi sono talmente pratici del mestiere e talmente addentro nel mercato di queste cose... Poi, quando abbozzo uno scricciolo di predica "che così non è bello, non è giusto speculare e fare prezzi sul piant..." loro m'interrompono e, un poco si mettono a ridere, un poco diventano severi.
Ma poi, alla fine, quasi mi abbracciano, e così m'azzittiscono.
"Dai, piccola, non c'è niente di male a... è una cosa che comunque qualcuno deve pur fare" - mi dicono.
Quando è agosto io sono abbronzata da fare invidia; perché, con tutti i soldi che rende quest’ attività, io, nei fine settimana, me ne vado al mare a prendermi il sole nei posti più deliziosi d’Italia.
Eppure, adesso che è settembre, mio padre e i miei fratelli mi hanno lasciato praticamente sola a gestire il negozio. "Settembre - mi ha detto mio padre - è un mese che si muore di meno" Chissà perché. Sarà che è il mese che si fanno gli ultimi conti, una specie di bilancio con la vita prima di ricominciare a morire ad ottobre e novembre. Sembra strano, ma è veramente così.
"Poi, i tuoi fratelli se ne vanno per tre o quattro giorni, ma io sono sempre qui, in zona."- mi ha ancora detto mio padre dandomi un buffetto affettuoso sulla guancia. E poi ha guardato con un segno di rassegnata approvazione la mia pancia. "Ha metabolizzato, evidentemente, il nostro chiamarlo Gioele" - ho pensato.

Stasera è arrivato un tipo col fare ingenuo e dinoccolato. Appena entrato mi ha guardato l'abbronzatura delle braccia, la scollatura che tracciava una probabilità d'un certo bello dei miei seni. Poi , quando mi sono alzata dalla scrivania , ha guardato sotto, a non finire, lasciandosi accarezzare lo sguardo da quella pancia che io - ancora catturata dal vezzo adolescente della linea da mantenere a tutti i costi - con le persone estranee provo istintivamente a ritirare dentro.
Mi ha detto " buonasera".
"Buonasera, prego."
“Devo ritirare i bigliettini di ringraziamento per la morte di mio padre. E poi vorrei sapere anche quale è il costo complessivo del funerale.”
Mentre io mi affrettavo a cercare la scheda con il conteggio della funzione - il conto, in pratica - tra quelle degli ultimi dipartiti, lui, quasi volesse aiutarmi a ritrovarlo, s'era proteso tutto verso di me e mi ripeteva quasi ossessivamente:
"Castoldi... Domenico Castoldi."
“Eccolo qua! Tremila e seicento euro per il funerale, e i bigliettini di
ringraziamento sono gratis.”
“Tutto qui?”
“Tutto qui.”
“Le faccio un assegno adesso?”
“Adesso o quando vuole. Piuttosto, vuole la fattura o le basta una semplice ricevuta?”
A questo punto lui mi ha guardato con uno sguardo che era come -ma mi posso sbagliare- se mi volesse dire: " ma tu sei felice o no?"
"Io no. E tu?”
"Io neppure!" Questo abbiamo dovuto pensare in due. 
" Basta solo la ricevuta", mi ha detto.

Come si può essere veramente felici qui, nel cuore dell'agenzia della morte.
Nella stanza affianco c'è la nostra piccola tipografia. C'è un computer sempre acceso dove il cliente, il parente più prossimo del defunto o un chicchessia incaricato delle onoranze, ti può dettare il testo del manifesto.
Di solito le solite parole, quelle che girano intorno alla sostanza, che è sempre la stessa.
C'è chi lo fa con il cliché solito e comincia con un "serenamente" od "improvvisamente" od un "dopo lunga malattia" a seconda delle circostanze del trapasso o dell’emotività con cui i familiari hanno accettato l'evento. C'è chi, invece, è più originale e ti fa scrivere cose roboanti del lui o della lei che non c'è più.
Di solito cose tra poesia e retorica. A ridosso dell'una o dell'altra, di solito.
Affianco al computer la stampante parte con il suo caratteristico rumore. E' già programmata per infiorare il manifesto di un’effigie che vuol essere una devozione ed un viatico. Prima c'era solo un Cristo con la corona di spine o un volto dolce di Madonna a farla da padroni. Adesso vanno molto i Padre Pio ed i Papa Woityla.
E che ci vuoi fare, la fede con la morte affianco vuole i suoi buoni ed efficaci intermediari per un aldilà migliore.
Nella stanza dall'altra parte, che non è poi una stanza ma un ampio salone grosso trecento e passa metri quadrati, ci sono in esposizione le bare.
Per fortuna, quando si entra in questo locale non si respira aria diversa da quella che emana la falegnameria che le sta dirimpetto, quell' odore caratteristico dei trucioli di legno e delle vernici.
Perché mio nonno prima e poi anche mio padre avevano cominciato facendo i falegnami. 
Solo dopo si erano accorti che l'industriarsi per i morti rendeva di più che farlo per i vivi. E da allora, piano piano, abbiamo creato un'organizzazione che direi perfetta, tecnologicamente avanzata ed artigianalmente ricercata; soprattutto siamo autosufficienti in tutte le fasi del ciclo che va dall'annuncio dell'evento, alla tumulazione. Basta morire ed essersi procurato un loculo al cimitero, che al resto provvediamo noi.
Io, in tutto questo processo, svolgo le mansioni più burocratiche, quelle più asettiche: ricevere le ordinazioni e poi, alla fine, battere cassa. A mio padre rimangono da sempre quelle che la gente pensa siano le più scabrose: raccogliere il primo pianto dei parenti, l'ultimo addio prima di chiudere la bara e, soprattutto, vestire e ricomporre i morti. Dicono - perché all'operazione io non ho voluto mai assistere - che in questo sia davvero un fenomeno; cioè a dare o ridare quella compostezza della persona e quella serenità del viso che i parenti vogliono rivedere e ricordare per sempre. A volte non deve essere affatto facile, perché non credo che siano poi tante le morti veramente serene. E ancora più sorprendente è il fatto che mio padre, un omaccione tozzo, con delle mani grosse da falegname, riesca ad usare con i morti tutta quella delicatezza necessaria che mi dicono usi, e che non è la stessa che spesso gli vedo usare coi vivi. 

Intanto il tipo con fare ingenuo e dinoccolato mi ha porto l'assegno firmato e poi è tornato a guardarmi, questa volta con una espressione proprio stralunata, fisso negli occhi.
“Mi scusi la domanda indiscreta, ma a lei è capitato di vivere un lutto
importante, voglio dire di una persona cara...”
“Certo, mia nonna.”
“E per voi, dico voi nel senso di lei, di suo padre, dei suoi fratelli... è proprio uguale a noi?”
Ho risposto in modo perentorio, anche un po' seccata.
“Uguale, assolutamente.”
“Ah beh, in fondo... immagino sia proprio così” - mi ha detto con l'aspetto imbarazzato e timoroso, come se mi avesse fatto un torto non voluto, ma,allo stesso tempo, come di chi non è convinto d'una cosa e tuttavia non vuole insistere.
Avrà avuto sulla quarantina, leggermente brizzolato, aspetto distinto e trasandato allo stesso tempo.
Sarà stato - ho pensato - perché le disgrazie ti tolgono l'incombenza di apparire sempre presente a te stesso.
Ha preso la ricevuta ed è uscito. E sulla porta quasi mi ha sorriso e mi ha detto: " auguri" - indicando col dito indice proteso, giù, la mia pancia.
Io sono rimasta per un attimo a pensare a lui, a quella sensazione che mi aveva dato di non volersi troppo bene, anzi, non volersene affatto. Ho pensato al perché di quella domanda e mi sono detta: “quanta gente pensa di noi la stessa cosa ma non la dice, che la consuetudine con la morte ci ha incallito.”
Poi Gioele nella pancia si è mosso in modo turbolento come fa da una quindicina di giorni a questa parte sempre più frequentemente. Si sente che ha voglia di venire allo scoperto per giocarsi le sue carte. Quella sensazione di dolore fisico, quel calcetto assestatomi proprio all'altezza dell'ombelico, ma di dentro, ha la capacità di scacciarmi di dosso i cattivi pensieri che ricorrono.
Domani farò l'ultima ecografia e, se Dio vuole, alla fine di ottobre...


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