venerdì 26 luglio 2013

“Si tira avanti solo con lo schianto” Whitefly Press, 2013 - Recensione di Cinzia Demi





Quest’ultimo libro di Davide Rondoni già dal titolo Si tira avanti solo con lo schianto fa discutere critici e lettori, perché lo schianto è qualcosa che intristisce, che fa paura, che propone il dolore come crepa necessaria e dilagante dell’uomo il quale, certo, preferirebbe non gli venisse presentato così palesemente, che gli fosse evitato d’imbattersi sfrontatamente in questa dimensione. Ma lo schianto - che, come precisa Rondoni stesso, è mutuato da un verso della poesia Giorno per giorno di Ungaretti - è inevitabile e necessario, è la scintilla da cui parte l’incendio del fare poetico. Il libro è stato recentemente presentato a Bologna - il 5 giugno u.s., presso il Caffè della Corte, luogo magico vicino alla splendida Piazza S. Stefano – e sono intervenuti all’incontro alcuni scrittori affermati ed emergenti portando ognuno il proprio contributo all’opera. In particolar modo mi hanno colpito le parole del poeta Giancarlo Sissa il quale ha affermato di condividere la visione poetica di Rondoni in quanto poeta degli incontri, del cammino, dei rapporti umani e soprattutto dell’esperienza. 

Ecco è su quest’ultima parola che vorrei soffermarmi. Cos’è l’esperienza per la poesia, come incide sul suo farsi? E’ infatti vero che l’esperienza è intesa come la conoscenza diretta, personalmente acquisita con l’osservazione, l’uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà ma questo non basta per tradurla in poesia. Non basta per farne un’arte che grazie allo «stupore verso l’alterità presente, misteriosa e infinita […] costituisce il punto fuga» proprio da quella stessa esperienza per restituirla nella sua intera essenza.

Del resto è sempre lo stesso Rondoni che ben spiega in un suo libro, dal titolo Non una vita soltanto. Scritti da un’esperienza poetica (Marietti, 200), di come gli interrogativi, tanto quelli dei bambini che quelli dei pensatori, sono capaci di indicare «in modo sintetico l’atteggiamento che la poesia re-suscita dinanzi all’evento del mondo». Così il poeta si chiede davanti ad ogni singolo elemento quali sono le azioni, gli scopi, i gesti che hanno un significato e ne prova stupore. Da prima per il riconoscimento di ciò che esiste e che forma la realtà, poi mettendolo in rapporto con se stesso, con ciò che suscita, con ciò che fa sentire. E’ così che «l’esperienza di una cosa è il giudizio che se ne ha. La poesia aiuta a giudicare in modo più umano la vita, poiché ne riscopre l’importanza, le riconosce il rilievo adeguato. E’ una “scienza nutrita di stupore” amava dire Piero Bigongiari». 

Ma quali sono le esperienze che hanno colpito il nostro autore, da cui sono nate le poesie di questo libro, poesie che non si sottraggono al portare il loro carico di versi alle grida e ai pianti, non si scansano di lato ma partecipano al dolore e ne fanno incantamento per riportarlo all’esperienza stessa? Sono esperienze d’incontri - lo abbiamo già detto che Rondoni è poeta che ama gli incontri, e su questo mi permetto di condividere il piacere e l’attenzione -. Sono incontri fatti in situazioni al liminare della vita, molte volte, o dell’umano, o della coscienza, o del vivere quieto, senza scosse, si potrebbe dire al liminare del vivere “normale” se davvero si sapesse a che cosa corrisponde questo termine. Sono incontri che gli permettono di andare avanti, se pure con lo schianto, e di connettere ancora una volta, e in modo sempre più esemplare, l’esperienza alla poesia.

La lingua che usa il poeta, e che trovo particolarmente efficace, è quella della comunicazione - come diceva Caproni - unita a certi slang, a certi intercalare, - a volte forse troppo giovanilistici - ma assolutamente moderni e reali, memorizzati nel continuo girovagare, a certi fremiti e tumulti, inevitabilmente rimuginati dai versi di tanta poesia macinata, immagazzinata, di cui si è nutrito come il pane, una lingua dove le parole spesso cantano rime e assonanze necessarie per fare poesia; mentre le visioni sono reali di sangue e carne - dall’esperienza e dall’incontro di Testori - e portano acqua, terra, aria e costruiscono la vita insieme alla poesia. 

Così, ci appare: Ivan, il ragazzo che sta “al braccio 6 di san Vittore” , che fa il compleanno e a cui Rondoni regala il proprio braccialetto di cuoio; le persone “sedute come sacchi mezzi vuoti” al poliambulatorio Mengoli e Iena la ragazza del “carcere che diceva/ entrare in galera apre nuovi orizzonti”; la ragazza di sedici anni che “seduta sul marciapiede si truccava” nell’aria distratta, sfacciata/ di Roma”. Così ci troviamo in luoghi come tabaccherie o sale bingo che sanno “di formica, di truciolato bastardo e laccato”, ci infiliamo “nei viali di Roma/a notte alta” ci sediamo “al tavolo/dell’ultimo bar/mentre intorno sogna brucia l’eterna/città” , andiamo incontro all’ “Inevitabile (che) è ancora ormeggiato a Venezia” , ci sediamo nel “capanno di Garibaldi, tra la/ Marcegaglia e la laguna/” veniamo catapultati a New York in un alba che “sembra silenziosa”. Poi, incontriamo sei brasiliane tra le quali una Lilì che il poeta chiama a gran voce: “Vieni a folgorarmi, a non lasciare/ niente di me, dalla violenta allegria della tua bellezza Lilì, vieni/” e una ballerina del Bol’šoj che balla “Il lago dei cigni” ed è “stanca di morire già dal primo passo e/sferzata a vivere da qualcosa dentro/che il coreografo non può prevedere”. 

Non sembri inconcludente perdersi in quest’elenco di incontri con personaggi e di visitazioni di luoghi, in apparenza scombinati, dove ci conduce Rondoni: il fatto è che tutto - e non è tutto perché continuano ancora gli incontri e i luoghi, ma vorrei che ve ne restassero da scoprire – tutto è assolutamente legato a doppia mandata da un filo indissolubile, da un non senso più reale del reale stesso. E’ come sedersi su una giostra vorticosa, un Tagadà che ti spinge da un lato all’altro della pista-mondo, ti sballotta e ti impressiona, ti accarezza e ti ustiona, ti mostra il dritto e il rovescio della tela umana e ti spiattella il rapporto, a cui non avevi forse mai pensato, che si può intraprendere con l’altro da te, uomo o luogo o tempo che sia. 

Versi forti, malsani, tremendi e veri, ustionanti ma lucidi e a volte balsamici come sanno essere certe medicine amare. Un’esperienza da provare la loro lettura, per arrabbiarsi col poeta che non ci nasconde nulla.

Ecco un paio di testi dal libro:


«Sono con Ivan al braccio 6

di san Vittore, mi annoio dice

ma sta dicendo

muoio,

e poi guardando via: oggi

è il mio compleanno.


Sono ventisette e ha

la faccia da bambino, mi slaccio

un braccialetto di cuoio: tieni,

come se potessi ridarti

il rovo rosso del cuore


vado via, mi mostra al suo compagno

“cella guardata a vista”,

e il guardato a vista ora sono io


con lo sguardo addosso

che risucchia Milano e il cielo di gennaio

ruvido come un tiro di sigaretta al gelo.


Sono sempre con Ivan al braccio 6, il mio

bracciale è un niente di amore

nella notte che non ha mai cielo

a san Vittore.»


(dalla prima sezione del libro: una poesia forte e struggente al tempo stesso. L’esperienza dell’incontro con un giovane carcerato nel giorno del suo compleanno, un regalo in un luogo dove non esiste cielo. Acuta similitudine tra lo sguardo che sembra risucchiare un’intera città e il cielo ruvido e freddo come freddo e ruvido può essere un tiro si sigaretta in quel contesto.)

*****

«Si tira avanti solo con lo schianto


il resto va in panne, si esaurisce


nella schiena ho il fuoco

di ali bruciate, se mi dici

rallenta

precipito in ogni dolore nel raggio di una vita


o faccio il balzo della bestia sul più insulso segno

di gioia


la vita è solo se scommette d’essere infinita


l’impatto è una carezza

nella nostra condizione


sbandati da ogni morale


ed è diritta sparata in Dio o

in una sacrosanta maledizione.»


(dall’ultima sezione, poesia che chiude e dà il titolo al libro: fenomenologia della vita e sospetto di una qualche forma d’immoralità la storia infinita si ripete da sempre e l’uomo cerca Dio o il suo contrario, ma cerca inevitabilmente qualcosa in cui credere).

Dal sito Altritaliani, rubrica Missione poesia

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