martedì 5 novembre 2013

Quell’andarsene nel buio dei cortili di Milo De Angelis - Recensione di Valentino Fossati



Per nascere occorre un ritorno.
Tutto si mostrerà, tra i macigni neri,
anche lei alzerà le braccia esultante
con un barlume di tutte le infanzie,
con l’acqua più in su della vita,
giungerà il richiamo, un’estate
che somiglia alla prima
via conosciuta, l’estremo nome
di ogni via.



In Quell’andarsene nel buio dei cortili sono nuovamente messe in scena, con maggiori picchi e aperture rispetto al ‘canzoniere’ più compatto e chiuso Tema dell’addio, la polarizzazione e la dialettica tra la coscienza della disgregazione di una vita che ha in sé “il perno smarrito” e la salda consapevolezza della forza aggregatrice della visione e dell’atto poetico.

 Disgregazione e forza aggregatrice, lucrezianamente, sono il movimento della stessa natura, così come polarità strutturali fortemente tematizzate in De Angelis sono la pienezza e il vuoto (il nulla, il buio), l’infanzia e il disfacimento (l’ “andarsene”) presi in un unico “cerchio”. Alle vertiginose aperture ad una metafisica senza Dio, ad una vera e propria escatologia laica e al richiamo ancestrale di “sotterranei” e “cantine” da cui provengono sillabe antiche è sotteso un rumore di fondo che ha la persistenza di un’ “ansia ostruita” che aspetta di “trovare le sue labbra”; un dolore che deve essere circoscritto e imprigionato, piegato all’esercizio millimetrico, acrobatico del verso e del libro di versi inteso come sistema mobile e incandescente, organismo che passo dopo passo, sillaba dopo sillaba trova una sua verità, una sua sussistenza ‘fisica’, formalmente, una sua densità classica. Il libro di De Angelis è dunque ‘aperto’ e testamentario al tempo stesso e per ‘testamento’ s’intende la verità del culmine, o di un punto di svolta del cammino che presuppone il ritorno a casa (“torniamo a casa, vi diremo”), la verità del morire, della sua percezione, che illumina il principio, i segni di un’infanzia riconosciuta e riavvicinata; la verità, sempre più acquisita, del disfacimento che genera la percezione dell’immutabile, dell’eternità anche se “eternità/mancata per un soffio”.


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