domenica 24 novembre 2013

L'autunno siciliano di una poetessa tedesca - Recensione di Anna maria Bonfiglio



Verso la seconda metà del Settecento si verificò in Sicilia un forte incremento di viaggiatori. L’Isola, che i compilatori cosmografici del Cinque e Seicento avevano descritto come terra selvaggia di miniere e caverne di zolfo, vive in quel periodo la stagione mitica della sua riscoperta, un’età felice che si concluderà nei primi anni del Novecento con il dissolvimento delle due ultime dinastie commerciali: i Florio e i Withaker. Fino a quel momento la Sicilia aveva ospitato nomi illustri di artisti, di scrittori e di regnanti. Numerosi e prestigiosi furono soprattutto i viaggiatori di lingua tedesca quali, solo per citarne alcuni, Goethe, Freud, Wagner. Quest’ultimo dimorò a lungo a Palermo dove, chiuso in una camera del raffinato Grand Hotel et des Palmes, che a lui ha intestato una delle sue grandi sale, completò il suo Parsifal. 


Nell’autunno del 1951 arriva in Sicilia la scrittrice tedesca Marie Luise von Kaschnitz. L’Isola le si presenta nella realtà di un dopoguerra che la vede sì dilaniata dai bombardamenti, ma ancora custode di un passato di arte e di civiltà che nessuna guerra ha potuto cancellare. Da questa esperienza di viaggio nascono nove poesie che alla fine del secolo scorso sono state pubblicate dalle Edizioni della Battaglia con il titolo di “Autunno Siciliano” e con la traduzione di Maria Teresa Galluzzo e Fabio Oliveri. Nove poesie ciascuna delle quali ritrae e racconta alcuni dei luoghi dell’isola. 

La silloge si apre con un testo che ne “disegna il profilo”: “Un’ala come dalla spalla d’una dea/della Vittoria.//Lo schizzo, una zolla di monti rocciosi/rimasta in piedi sotto il fulgore del sole,/mentre con alga e sabbia e moto dei pesci/il mare ricopre le dolci pianure.” Sei versi nei quali l’aspetto geografico viene delineato come da una esperta matita d’artista. E continua addentrandosi nei particolari attraverso una scelta semantica che ne esplora colori, contorni, riti, dominazioni: “Questa dalla terra ferma, questa dall’Africa/questa dalla Spagna,questa dal Peloponneso:/ecco le vie dei navigli dei conquistatori stranieri.” E più avanti: “Ora sollevate dal sentiero del giardino i ciottoli bianchi/a due, a tre. Non vi risplendono/simili a templi e duomi nella luce lunare?” Oltre l’annientamento bellico ecco risplendere le vestigia delle antiche civiltà che nulla riesce a cancellare: “Splendore e rovina, eterno conflitto.” 


Dieci distici e un quadrisillabo finale raccontano Palermo in sequenza ossimorica: Palermo che luccica di chiese e gelsomini e Palermo di tanfo di morte e germogli color carne; Palermo “arcobaleno e nave arrugginita”, “tunica ridotta a polvere corona e spada”. Nessun’altra parola poteva dire meglio la duplicità di una contraddizione radicata nel tempo e nella storia.


L’atmosfera autunnale induce la poetessa ad indagare la natura e le cose. Nelle gocce di pioggia respira l’arcobaleno, gli uomini sugli asini “cavalcano ai margini del cielo”, nelle capanne rurali si dialoga di pene antiche e miseria, ma infine il sole che “risucchia dal fango fattorie e vetri” risplende come “piccola luce rossa”. E via via tutto viene incluso nel dettato poetico: banditi e cattedrali, templi e miti, rovine e splendori, vivi e morti, una tassonomia in cui non si classificano generi e specie ma nella quale si riconosce il segno della potenza affabulatoria dell’autrice. La Sicilia che si presenta a Kaschnitz è luogo di miseria ma anche crocevia di luoghi e figure che, nel bene e nel male, hanno lasciato il segno: Agrigento, Siracusa, Selinunte; Pirandello, Aretusa, Empedocle. Ma anche il bandito “che ha concluso la sua vita come Gesù Cristo/per mano di un traditore”, nel quale ci è consentito individuare quel Salvatore Giuliano ucciso nel 1950. E’ la Sicilia che ancora e sempre vive nella contrapposizione, nel contrasto stridente, nell’antitesi, e che questi nove testi hanno consegnato ai lettori di due secoli quale prova illuminante di come la poesia possa rendersi anche documento storico.


Marie Luise von Kaschnitz nacque nel 1901 a Karlsruhe ma ancora giovinetta si trasferì con la famiglia a Berlino. Nel 1925 sposò l’archeologo Guido von Kaschnitz-Weniberg e con lui nel 1941 si stabilì a Francoforte sul Meno che considerò sempre come la sua vera “patria”. Compì molti viaggi e soggiornò a lungo a Roma. Scrisse poesie, romanzi, saggi e biografie e conseguì diversi premi letterari. Morì a Roma nel 1974.




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