mercoledì 30 ottobre 2013

Scienza e Letteratura - Saggio di Rosa Elisa Giangoia




La contrapposizione tra cultura letteraria e cultura scientifica nasce poco più di cinquant’anni fa, quando Charles Percy Snow (1905-1980) denunciò la pericolosità della frattura tra la scienza moderna e il sistema dei valori umanistici nella conferenza, poi diventata saggio, intitolata Le due culture (1959) . Un testo non privo di contraddizioni e limiti, ma che ha il merito di aver mostrato la realtà di una netta divisione fra un sapere definito "umanistico" e uno invece "scientifico". Snow, che era un fisico, sosteneva che i letterati nutrivano un certo disprezzo per le discipline scientifiche, ritenendo che la scienza fosse poco più di un'attività "di manovalanza" al servizio della società: a suo giudizio, era naturale che uno scienziato conoscesse Shakespeare, mentre era normale che un intellettuale non sapesse nulla dei concetti di massa ed accelerazione. Secondo Snow, questo disprezzo era del tutto ingiustificato e lo snobismo degli intellettuali verso la scienza era dannoso al progresso dell'umanità, tanto che riteneva che proprio la scarsa comunicazione tra scienza e mondo umanistico rappresentasse una delle principali ragioni di ostacolo alla soluzione dei problemi del mondo. Lui stesso, da scienziato, divenne anche scrittore (forse per superare un complesso d’inferiorità!), pubblicando alcuni romanzi che nel suo tempo ebbero notevole successo. 


In seguito la questione è diventata di grande interesse ed è stata oggetto di studi, che trovano una sintesi nei saggi di Ezio Raimondi e di Giovanni Baffetti .
Per capire bene la questione bisogna, però, smitizzare alcuni pregiudizi e andare indietro, molto indietro nel tempo, fino alle origini della nostra tradizione culturale e letteraria e scorrerne, seppur rapidamente, gli sviluppi, per comprendere come il rapporto tra queste due aree culturali si sia diacronicamente intrecciato in modi molto diversi. 


Occorre, però, prima smitizzare alcuni pregiudizi correnti. Innanzitutto quello secondo cui la scienza ha uno sguardo oggettivo sulla realtà, mentre quello della letteratura sarebbe soggettivo. Dobbiamo invece tener presente che entrambe le prospettive presuppongono una libertà di lettura della realtà, fondata sull’accettazione di alcuni presupposti (assiomi, teoremi, sistemi di valori), a partire dai quali si viene costruendo il discorso sul mondo. L’altro pregiudizio è che la scienza utilizza un linguaggio impersonale, al contrario dell’arte. La realtà è, invece, che artisti e scienziati impiegano stili espressivi personali e chiaramente riconoscibili, inoltre entrambi ricorrono alla metafora o alla similitudine come strumento di divulgazione di un concetto. Quale ultimo pregiudizio possiamo ricordare quello secondo cui la scienza si avvale di procedimenti logici formali al contrario della letteratura, per sfatare il quale possiamo dire che in entrambe è centrale il procedimento analogico, anche se l’analogia scientifica riporta l’ignoto a un fenomeno noto, mente l’analogia letteraria guarda le cose più familiari con occhio straniante, cogliendo nel noto un aspetto ignoto.


Se vogliamo ripercorrere il cammino storico dei rapporti tra scienza e letteratura, dobbiamo ricordarci che al principio c’è il mito, cioè racconti di fantasia, che esprimono anche aspettative dell’uomo: riprendiamone solo due, il mito degli Argonauti, che ci riporta all’invenzione dell’imbarcazione, ovvero dello strumento atto a dare la possibilità all’uomo di solcare i mari, come i pesci, ed il mito di Dedalo ed Icaro, che dimostra il desiderio dell’uomo di possedere ali per percorrere il cielo, come gli uccelli.


Nella più antica fase della produzione letteraria la scienza, intesa come globale amore per il sapere, cioè filosofia, si esprimeva in testi letterariamente configurati, in quanto al di sopra di cosa si dicesse stava il come lo si dicesse, per cui la forma letteraria, in particolare quella poetica, era il culmine del processo creativo. In quest’ambito si pongono le opere dei Presocratici (Talete, Anassagora, Anassimene, Eraclito, ecc.), il poema Le opere e i giorni di Esiodo, la Fisica di Aristotele, Il De rerum natura di Lucrezio, le Georgiche di Virgilio, gli Astronomica di Manilio, i testi scientifico-naturalistici di Plinio Il Vecchio, di Columella e di altri. In queste opere il sapere è appreso per acquisizione da autori precedenti, è un patrimonio raccolto, da conservare e tramandare, mentre mancano l’esperienza diretta, la sperimentazione, l’osservazione, l’intuizione. Solo Aristotele usa i procedimenti logico-deduttivi, applicandoli soprattutto al divenire, fino a formulare la teoria del primo motore immobile. 


Testo esemplare dell’esposizione poetica del pensiero scientifico-filosofico è il De rerum natura di Lucrezio, che traduce in poesia in latino il Perì physeos del filosofo ellenistico Epicuro, in cui l’autore, a partire dalla concezione fisica di un universo composto da materia, costituita da atomi nel vuoto, sviluppa un’etica tesa a liberare gli uomini dalla paura della morte e dal timore nei confronti del futuro, degli dei e del dolore
L’opera, accanto a questioni filosofiche, tratta argomenti propriamente scientifici, come la composizione della materia, il principio di conservazione della stessa, il movimento degli atomi, la finitezza o infinitezza dell’universo, le fasce climatiche, la diffusione delle malattie e il progresso della civiltà umana.


Lucrezio precisa che si serve del linguaggio poetico in quanto esso è capace di addolcire la durezza dei contenuti filosofici e scientifici, ai quali tocca comunque il compito di disperdere le tenebre e il terrore dell’animo, che né i raggi del sole né i dardi lucenti del giorno sono in grado di dissipare .
Nell’ antichità si venne a creare anche un altro fenomeno che stabiliva uno stretto nesso tra scienza e letteratura, ed è quello che potremmo definire come carattere numerologico della letteratura. 


Fermo restando che fin dalla più lontana antichità il legame tra matematica e letteratura è molto stretto: si pensi al detto del sofista Protagora "L'uomo è misura [in gr. métron, nell'accezione matematica] di tutte le cose", o al fatto che in latino il verso della metrica si chiami numerus. In tutta la letteratura antica, medievale e rinascimentale la matematica ha un valore altamente simbolico, che informa e plasma la struttura delle opere. Grande influenza ha la tradizione biblica . Gli esempi sono innumerevoli: i 9 libri delle Storie di Erodoto, come le 9 Muse; dai 24 libri dell’Iliade e dell’Odissea derivano i 12 libri dell'Eneide, metà dei 24 omerici; o al contrario i 48 delle Dionisiache di Nonno, doppio dei 24 omerici; Le nozze di Mercurio e Filologia di Marziano Capella con la struttura allegorica delle sette arti liberali (il libro VII è dedicato alla matematica), alla base del sistema artistico medievale del trivio e del quadrivio; Dante (le 100 cantiche della Divina Commedia, i 35 anni, i numeri 1, 33x3, 5 e 7); Petrarca (le 366 poesie del Canzoniere); Boccaccio (il 10 che informa il Decameron, con 10 novelle per 10 giorni, raccontate da 10 narratori).


A parte questa questione numerologica, occorre evidenziare che l’assenza di divisioni all'interno del sapere continuò nel Medioevo, quando una persona di buona cultura aveva il dovere di conoscere le discipline del Trivio e del Quadrivio, cioè materie, diremmo oggi, sia scientifiche che umanistiche. Dante ne è l'esempio più evidente: le sue conoscenze scientifiche non lo allontanavano dall'amore per la scrittura e nemmeno dalla fede, anzi ne erano solida conferma. Basti pensare alla famosa "dimostrazione" con specchio e doppiere usata da Beatrice nel Paradiso per spiegare la vera natura delle macchie lunari . Una realtà “scientifica”, secondo i parametri del tempo, che non contraddice, anzi è uno dei tasselli del cosmico mosaico che rappresenta la struttura armoniosa dell'universo, così come Dio l'ha creata. La Divina Commedia vuole essere inoltre la dimostrazione di buone conoscenze scientifiche, soprattutto astronomiche, fisiche, geografiche e mediche (come dimostra anche la trattazione sul concepimento umano ), tanto che qualcuno ha ipotizzato che Dante avesse seguito studi di Medicina a Bologna, anche per il fatto che a Firenze era iscritto alla corporazione dei Medici e degli Speziali. Tutto il sapere, però, era sottoposto e finalizzato non più all’oratoria, cioè all’ars dicendi, ma alla Teologia, regina di tutte le scienze. Ma soprattutto Dante si avvale e poeticamente diffonde il sistema tolemaico, come schema di organizzazione dell’universo, a dimostrazione della creazione e dell’universale sovranità di Dio.


Petrarca, invece, prende posizione contro la filosofia aristotelica, ormai degenerata, per influsso dell’averroismo, in scienza meccanica, senza più capacità di affrontare i problemi dell’animo umano, e per questo recupera la filosofia agostiniana, soprattutto nel Secretum.
Ma è con Galileo che avviene il superamento della prosa letteraria e l’inizio della trattatistica di carattere scientifico . Lui che scrisse anche di letteratura, prosatore di grandi risorse argomentative ed espressive, nitido e antiretorico, si riallaccia, senza pedanterie linguistiche, alla tradizione toscana del ‘500, ma inaugura insieme, per il vigore dialettico e la sapiente ironia che anima lo stile delle sue opere maggiori, specie Il saggiatore (1623) e Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), la nuova tradizione della prosa scientifica, non più basata sulle acquisizioni della tradizione, suffragate dall’ipse dixit, ma sulla validità del metodo sperimentale. Nasce così la scuola galileiana con la quale i testi prodotti diventano occasione di esposizione e divulgazione delle nuove acquisizioni scientifiche. Con i suoi esponenti più illustri, Bonaventura Cavalieri ed Evangelista Torricelli, possiamo dire che inizia la nuova vera produzione letteraria scientifica, in cui l’importante è il contenuto, dato dalle nuove scoperte, e non più il modo letterariamente elaborato di esporre acquisizioni apprese dalla tradizione . 


Ben presto farà seguito la produzione dell’Accademia del Cimento e della cosiddetta “scienza piacevole”, con l’esposizione di sempre nuove conquiste nei diversi campi della scienza, grazie ad autori come Lorenzo Magalotti e Marcello Malpighi, a cui possiamo aggiungere Tommaso Ceva (1648-1737), gesuita, matematico e poeta milanese, autori che non hanno mai considerato incompatibili il sapere tecnico e l’abilità retorica.
Con il diffondersi della rivoluzione copernicana, l’uomo perde la consapevolezza della propria centralità nell’universo e la prospettiva di percezione della realtà si modifica profondamente, cosa che influisce anche sulla produzione letteraria del barocco, in cui si perde la prospettiva di centralità dell’uomo e l’osservazione si sposta sul particolare che viene enfatizzato a tutti i livelli, anche linguistico, come ben dimostra la produzione poetica ed in particolare l’Adone del Marino.


La continuità fra scienza e letteratura prosegue nei secoli successivi, sia pure con minore evidenza, finché nel Settecento le linee tensive, che conducono dall’Arcadia alla diffusione e all’affermazione dell’Illuminismo, trovano realizzazione nell’opera vasta e complessa di Francesco Algarotti, veneto, ma con ampie frequentazioni culturali in Italia e in Europa, che unisce propensioni per le arti figurative e per la letteratura ad interessi scientifici, esercitati in esperimenti di ottica e di astronomia, consolidatisi in un’esercitazione latina sull’ottica newtoniana e in un Saggio sopra la durata de’ regni de’ re di Roma, del 1729, in cui viene applicato alla storia il metodo cronologico di Newton. Dalla sua ampia conoscenza delle nuove acquisizioni scientifiche deriverà quel suo Neutonianismo per le dame (1737, poi Dialoghi sopra l’ottica neutoniana), in cui il gioco letterario fra ironico e conversevole, di gusto arcadico-rococò, non rimane mai del tutto separato dal fondo divulgativo-scientifico e dal desiderio di rinnovamento culturale e letterario che dimostra l’intento combattivo non solo contro il razionalismo cartesiano e la sua metafisica, in nome della nuova prospettiva antimetafisica, rappresentata dal sistema sperimentale newtoniano, ma più generalmente contro i pregiudizi, i conformismi, l’ignoranza consolidata in falsa cultura, specie in Italia.
L’entusiasmo per il nuovo, tipico dell’Illuminismo, fa sì che nel Settecento le opere letterarie fungano da veicolo di divulgazione per le nuove acquisizioni scientifiche. La letteratura infatti diventa occasione di elogio, di entusiasmo e di glorificazione della scienza, con una tradizione poetica di rilievo che possiamo delimitare tra l’ode Al signore di Mongolfier del Monti e la poesia Alla nuova luna, cioè allo Sputnik, di Quasimodo.


Mentre nell'Illuminismo era ancora possibile che un matematico come D'Alembert desiderasse occuparsi di tutta l'enciclopedia del sapere, subito dopo nascono problemi di incompatibilità e divisione tra scienza e letteratura. Proprio per questo si afferma un nuovo genere letterario, l’essai, il saggio, che diventerà appunto il modello espressivo formale del non letterario.
Tra gli autori italiani dell’Ottocento si segnala senz’altro il Leopardi per interessi scientifici . Egli infatti in gioventù si occupò delle discipline scientifiche, dalla fisica alla chimica all’astronomia, dai fenomeni luminosi a quelli elettrici, si interessò di scienze naturali, di memoria, di sogno e anche di matematica. All’età di quattordici anni, con il fratello Carlo, scrisse un Saggio di chimica e di storia naturale e a quindici una Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, ma bisogna ricordare che in quel periodo compose anche un Dialogo filosofico sopra un moderno libro intitolato “Analisi delle idee ad uso della gioventù”, polemico contro l’opera di Mariano Gigli, soprattutto per l’adesione del nostro giovane poeta al sistema copernicano, a cui era decisamente contrario suo padre Monaldo, in linea con molti ambienti della Chiesa. L’interesse per le scienze della natura è forte in lui fino al 1815, anno del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. In questo momento Leopardi mostra di avere una profonda fiducia nella “verità” e nell’“esattezza” delle scienze. Questa fiducia, però, cade, almeno a cominciare dal 1818, come ci testimonia lo Zibaldone (iniziato nel 1817), attraverso cui è possibile seguire la critica alle scienze, i cui titolari costituiscono quella “repubblica scientifica” europea, responsabile di avere offerto un “sistema semplicizzato e uniformato” del mondo. A questo sistema il poeta contrappone il “sistema del bello”, cioè un mondo che non può dirsi con i “concetti” della scienza, ma solo con le “immagini” della poesia. Sempre più si verrà radicando nella sua poesia l’idea che il progresso (“le magnifiche sorti e progressive” ) e le scienze siano incapaci di dare senso e porre rimedio alle sofferenze umane.


Nella seconda metà dell’Ottocento le distanze tra letteratura e scienza si accentuano in Europa, soprattutto in seguito alla rivoluzione industriale. La causa è da ricercarsi anzitutto nella trasformazione mostruosa delle città in enormi dormitori per operai, nel loro sfruttamento e nella demolizione delle strutture stesse della famiglia e della società, che fecero sì che gli intellettuali cominciassero a vedere la scienza, e soprattutto la tecnologia di cui sembrava essere al servizio, con uno sguardo fortemente critico.
Su questa linea si afferma il positivismo di Comte, da cui nascono il Naturalismo francese (Zola) e il Verismo italiano (Capuana e Verga), che, oltre ad analizzare la situazione sociale determinata dalla rivoluzione industriale, soprattutto con Zola in Francia, desumono dalla scienza il metodo d’indagine e vogliono costruire la narrazione letteraria come un’analisi scientifica della realtà stessa , mentre il Decadentismo opta per una letteratura in opposizione/concorrenza con la scienza, in quanto la prima sarebbe capace di rivelare “altre” verità, di tipo sapienziale, nascoste ai più, come ben teorizza Baudelaire nella lirica Correspondances.


Nel Novecento, le grandi rivoluzioni scientifiche influiscono enormemente sulla letteratura. Innanzitutto la teoria della relatività determina nel romanzo lo scardinarsi dei concetti di spazio e di tempo, per cui si arriva ad una diversa organizzazione dell’impianto narrativo con i grandi esempi di Proust, Joyce, Kafka e in Italia di Italo Svevo, dall’altra la conquista dell’aria, con le nuove possibilità di volo, stimola la fantasia dei letterati, in particolare in Italia di D’Annunzio, e sulla sua scia, a livello popolare, di Liala, in cui l’aviatore è sovente il nuovo principe azzurro per le fanciulle della nascente borghesia. Anche l’automobile acquista un posto di rilievo nella letteratura, a partire dal Manifesto (1909) dei Futuristi, che ne fanno un mito, ma esaltato anche da Filippo Tommaso Marinetti nell’ode All’automobile da corsa (1908). Così, dopo il treno con Carducci e la bicicletta con Pascoli e Gozzano, questo nuovo mezzo di trasporto diventa elemento di dinamismo nei testi letterari, con in seguito i famosi esempi dei romanzi Lolita (1955) di Vladimir Nabokov e Sulla strada (1957) di Jack Kerouac, in cui l’automobile è determinante.


La novità più interessante, però, è il fatto che la scienza ora diventa oggetto della letteratura.
Memorabile il caso di Italo Svevo; infatti nel finale del suo capolavoro, La coscienza di Zeno (1923), già pervaso da quella che era la nuova scienza umana del Novecento, la psicanalisi, l’autore osa una profezia, che anticipa molta fantascienza, sugli esiti catastrofici della scienza applicata alla tecnologia, un campo che ben conosceva per lavoro. Profetizza infatti “una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni”, attraverso la quale l’umanità, forse, guarirà dai germi di cui si nutre e troverà la salute in un mondo asettico. Svevo anticipa quello che sarebbe stato un grande dilemma per la scienza, messo in scena da Michael Frayn molti anni dopo nel dramma Copenaghen (1998), che assunse un notevole rilievo nella comunità letteraria ed ancor più scientifica, in quanto tratta in maniera vivacissima dei fatti relativi allo sviluppo, mancato, della bomba atomica nazista, durante gli anni della seconda guerra mondiale. In particolare il lavoro verte sull'incontro avvenuto nel 1941 tra Niels Bohr, famoso fisico teorico danese, di origine ebraica, e il suo allievo Werner Karl Heisenberg, ai vertici del progetto tedesco di sviluppo nucleare. I fatti reali e gli schieramenti storici degli uomini in gioco sono tuttora controversi, ma Frayn nel suo dramma fa emergere il fattore umano e soprattutto gli aspetti etici della questione.


Nel corso del Novecento, come si può vedere anche dal saggio di Mario Petrucciani , l’osmosi tra scienza e letteratura è rappresentata, almeno in Italia, da diverse compromissioni professionali: Carlo Emilio Gadda, ingegnere e romanziere, insieme a un grande scrittore e grande testimone dell'Olocausto come Primo Levi, che si salva dalla morte in campo di sterminio proprio grazie alla sua laurea in chimica. E ancora Mario Tobino, psichiatra, e ai nostri giorni Cesare Viviani, psicanalista, che fanno di una delle scienze la loro professione e vi affiancano la scrittura che dà loro la notorietà.
Ma la scienza diventa anche argomento di testi letterari, soprattutto di narrativa. A questo riguardo in Italia i due esempi più interessanti sono rappresentati da Italo Calvino e Primo Levi.
Italo Calvino, nato in un ambiente, potremmo dire, “scientificamente corretto”, da un padre agronomo e da una madre naturalista, dopo varie esperienze di racconto, che iniziano nel solco del neorealismo, approda ad una narrativa molto originale, ispirata alla scienza, con Le cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1968). Non opere di fantascienza, ma di fantasia scientifica, in quanto la fantascienza tratta del futuro, mentre il nostro autore si rifà ad un passato remoto, una sorta di mito delle origini. Le cosmicomiche sono una vera e propria esplosione di fantasia: i racconti vengono narrati in prima persona dal protagonista, il vecchio Qfwfq, « personaggio difficile da definire, perché di lui non si sa nulla. Non è nemmeno detto che sia un uomo [...] si deve calcolare che ha più o meno l'età dell'universo», secondo quanto dice l’autore nella Prefazione.


Le nozioni scientifiche su cui si basa l’autore sono principalmente astronomiche e gli servono per costruire racconti surreali ed esilaranti: ogni racconto è preceduto da un breve paratesto in corsivo che fornisce al lettore elementi scientifici o parascientifici, da cui successivamente il racconto vero e proprio, sotto forma di monologo, prende spunto. Tutto in un punto, per esempio, partendo dalla teoria del Big Bang, tratteggia la vita di un nugolo d'insoliti personaggi, costretti a una strana coabitazione: non esistendo ancora la materia, tutti sono assiepati in un unico punto, quello iniziale della grande esplosione.
In un altro racconto, Gli anni-luce, il protagonista si trova ad avere a che fare con uno strano dialogo, che avviene tramite dei cartelli, con un interlocutore che si trova in un'altra galassia. L'interattività degli scambi è però condizionata dai lunghi tempi di percorrenza della luce: ne nascono esilaranti equivoci che saranno destinati a rimanere tali per sempre, dal momento che l’espansione dell'universo fa sì che il dialogo si interrompa nel momento in cui le due galassie si allontanano l'una dall'altra a velocità superiore a quella della luce.
Caratteristica dei racconti di Ti con zero (La molle luna, Gli uccelli, I cristalli, Il sangue, il mare) è quella della durata dell'orizzonte temporale abbracciato dalla narrazione, in media di molti milioni di anni.


In effetti però, quello di Calvino è un tentativo ancora più ambizioso: cercare di comprendere i misteri dell'universo attraverso i mezzi dell'ingegno umano, con una letteratura aperta alle suggestioni della scienza. Ne è prova uno degli ultimi libri pubblicati in vita dell'autore, Palomar (1983), in cui il protagonista eponimo, che ha il nome di un famoso osservatorio astronomico, indaga i vari fenomeni della vita che lo circonda, con piglio di scienziato e sensibilità di poeta.
Primo Levi, chimico di professione, fa di queste sue conoscenze scientifiche l’argomento de Il sistema periodico (1975), una raccolta di 21 racconti in cui utilizza i vari elementi chimici come una sorta di “correlativo oggettivo” per narrare la formazione morale e civile di un giovane ebreo. Ognuno porta il nome di un elemento della tavola periodica ed è ad esso in qualche modo collegato. I temi sono numerosi, incentrati sulla vita professionale di chimico e contenuti in una cornice autobiografica. Dai primi esperimenti ai primi impieghi, dalle esperienze di vita nei lager nazisti ai racconti - veri o di fantasia - legati al mestiere di chimico: si potrebbe definire la vita dell'autore vista attraverso il caleidoscopio della chimica.


Nel Novecento si afferma il genere “giallo”, come romanzo di grande successo: stretti sono in questo caso i rapporti con la scienza, in quanto si tratta di narrazioni in cui l'investigatore risolve l'omicidio con il ragionamento deduttivo di tipo logico-matematica. Lo Sherlock Holmes di Conan Doyle, il Nero Wolfe di Rex Stout, l'Ellery Queen di Dannay-Lee, l'Hercule Poirot di Agatha Christie e molti altri sono i campioni di questa modalità investigativa. Ma tutto era cominciato a metà Ottocento coi racconti di Edgar Allan Poe, I delitti della Rue Morgue, Il mistero di Marie Rogêt, La lettera rubata e Lo scarabeo d'oro. Protagonista dei primi tre è infatti il padre di tutti i detective moderni, Auguste Dupin, che esalta la combinazione di capacità creativa e analitica.
Per quanto riguarda i rapporti tra la letteratura e la matematica, però, i dati più interessanti emergono quando la matematica non è semplice citazione o gioco, bensì diventa vero e proprio serbatoio di immagini, similitudini, metafore, riflessioni, insomma si fa retorica.
In Italia uno degli scrittori più attenti a tale aspetto è stato Leonardo Sinisgalli, ingegnere e poeta, che affronta il tema nella raccolta di saggi dall'eloquente titolo Furor mathematicus (1944), in cui fra l'altro sintetizza la poesia nel binomio a+bj “dove a e b sono quantità reali e j è il famoso operatore immaginario”. Un altro poeta molto sensibile alla scienza è Andrea Zanzotto, che utilizza operazioni matematiche, simboli (a, b, →, ~), concetti più o meno complessi (insiemistica, Teoria del caos, ecc.) nelle sue liriche.
Ma è soprattutto all'estero che troviamo gli esempi più articolati e coerenti. 


In Francia Paul Valéry teorizza l'unione di matematica e arte nei saggi Introduction à la méthode de Léonard de Vinci (1894) e Eupalinos ou l'Architecte (1923). Due correnti letterarie in particolare sono molto sensibili alla sfera matematica, anche se in modi diversi: i surrealisti di inizio Novecento (soprattutto André Breton e René Char), affascinati dagli aspetti caotici dei numeri, e i membri dell'Oulipo, l'Opificio di Letteratura Potenziale (come Raymond Queneau e GeorgesPerec), interessati, al contrario, alle caratteristiche normative e vincolanti della matematica. Esemplare è il romanzo di Perec La vie, mode d’emploi (1978), ambientato in un edificio parigino, dove si intrecciano molteplici storie, secondo una struttura regolata da una griglia matematica, che scandisce e ordina le sequenze narrative. Si può anche aggiungere Yves Bonnefoy, poeta e matematico, che nelle sue opere mira a percepire la globalità del reale come una “sostanza” posta al di là delle impoverenti schematizzazioni razionali e che in diverse occasioni ha dichiarato di aver visto l'effetto benefico della poesia sulla ricerca scientifica.


Nel mondo anglosassone prevale la chiave postmoderna, dunque la contaminazione, spesso ironica, tra cultura umanistica e scientifica, con citazioni dotte, allusioni e rielaborazioni. Precursore può essere considerato Lewis Carroll (di professione proprio matematico) con i giochi logico-verbali di Alice’s aqdventures in Wonderland (1865).
Oggi uno degli autori più interessanti per le commistioni tra scienza e letteratura è indubbiamente lo statunitense Thomas Pynchon, fortemente suggestionato dai vari linguaggi e dalle diverse culture – musicale, scientifica, psichedelica, visiva -, autore di opere complesse, come Entropia (1960), che ha segnato la svolta della letteratura contemporanea verso le tematiche della scienza e della fisica quantistica, V* (1963), rielaborazione fantastica della storia europea a partire dalla prima guerra mondiale, The crying of lot 49 (1966), grottesca metafora dell’America, Gravity’s rainbow (1973), in cui, essendo la vicenda del protagonista racchiusa nella parabola di un missile V-2, l’umano appare definitivamente saldato al tecnologico, fino al recente Against the Day (2006), monumentale romanzo in cui, inseguendo il sogno impossibile dell’utopia, si descrive il mondo come potrebbe essere.
Anche in Italia attualmente la poesia è in stretto rapporto con le scienze: in particolare l'interesse delle neuroscienze, l'insieme di discipline scientifiche, afferenti anche a psicologia e filosofia, che studiano il funzionamento del cervello, si è rivolto verso la letteratura e la versione scientifica del fenomeno dell'ispirazione poetica è andata ad arricchire l'elenco degli strumenti umani a disposizione per descrivere il mondo. La lettura delle leggi dell'universo non è più appannaggio dei soli scienziati, ma addirittura dei poeti, di cui viene studiata la capacità di intuire le grandi leggi fisiche che governano l'universo, in un percorso "non contro ma in parallelo alla conoscenza razionale" . Del resto, la “teoria della complessità”, che propone corrispondenze fra il microcosmo delle sinapsi cerebrali e il macrocosmo delle distanze spazio-temporali fra i pianeti, non è lontana dall'idea di nessi nascosti ed eterne relazioni fra le cose, tipica della poesia simbolista. 


È il tema appunto del recente saggio dello studioso di letteratura, nonché poeta, Alberto Casadei, Poesia e ispirazione, ricco di suggestivi spunti di riflessione. Anche il numero 39 del prestigioso trimestrale di letteratura "Nuovi argomenti" è dedicato al rapporto fra scrittori e scienza, con interventi di giovani autori, come Leonardo Colombati, Demetrio Paolin, Tommaso Pincio, Chiara Valerio Giuseppe Genna, e di filosofi e scienziati, come David Calef e Giulio Giorello. 


Sui rapporti tra letteratura e matematica può essere ancora interessante ricordare il recente romanzo di Paolo Giordano, fisico di formazione, La solitudine dei numeri primi , in cui i due protagonisti vengono paragonati ai numeri primi, divisibili solo per 1 e per se stessi, e questo aspetto modula tutta la storia, per cui la matematica fornisce un immaginario e uno sviluppo coerenti per la trama.
Se vogliamo prendere in considerazione la scienza come serbatoio di situazioni e personaggi narrativi, dobbiamo soffermarci soprattutto sulla fantascienza, che parte da acquisizioni scientifiche e con la fantasia va oltre quelle che sono le possibilità del momento, immaginando sviluppi non ancora realizzati.


La storia della fantascienza è la storia di un genere letterario di narrativa popolare di successo sviluppatosi nel Novecento, che ha le sue radici nel romanzo scientifico dell’Ottocento. Nata come opera letteraria, la produzione di fantascienza si è presto diffusa nei diversi mezzi di comunicazione di massa: soprattutto il cinema, ma anche i fumetti e la televisione. La fantascienza ha come tema fondamentale l’impatto di una scienza e/o di una tecnologia – attuale o immaginaria – sulla società e sull’individuo. A partire dagli anni Trenta del secolo scorso, prende il posto della mitologia nel ruolo di trasmettere miti e sogni, assumendo il compito, in maniera surrettizia, di mantenere in vita antichi sogni, immergendoli nell’attesa di nuove tecnologie. In quest’ambito il filone più interessante e di maggior sollecitazione narrativa attualmente è quello del cyborg , cioè dell’uomo artificiale, inizialmente individui in grado di sopravvivere a una guerra nucleare e al successivo inverno atomico. Il termine vero e proprio sarà coniato solo negli anni Sessanta, ma l’idea di una figura di ibrido uomo-macchina esiste dagli anni Venti- Trenta . Gli inizi del cyborg sono nella letteratura nordamericana e sono legati ai viaggi che l’uomo sarà in grado di fare nello spazio e nel tempo. Il mostro, il cyborg ante litteram è un abitante di un altro mondo, è un cattivo che viene visto come appartenente allo sconosciuto, allo spazio siderale. Negli anni Quaranta e Cinquanta il paradigma buono-cattivo / vicino-lontano / conosciuto-sconosciuto crolla, insieme alla fisica newtoniana. Tutto cambia a seguito della volgarizzazione della teoria della relatività e dell’idea di iperspazio, come concetto creato per viaggiare nello spazio più veloci della luce e renderlo così accessibile agli esploratori galattici. Negli anni Sessanta viene a crollare quella che era stata una certezza nei resoconti di viaggi della narrativa di tutti i tempi: l’uomo era il punto fisso nel distinguere la normalità dall’anormalità, l’ordine dal disordine. Ora l’essere umano viene sempre più estromesso e la machina, nel caso il computer, diviene la via obbligata per poter viaggiare nello spazio, per cui l’ibrido uomo-macchina sostituisce l’alieno e il mostro non è più all’esterno dell’uomo, ma al suo interno, in forma debole, cioè mantenendo sostanzialmente la sua natura, ma sviluppando particolari capacità di connessione con la macchina, o in forma forte, cioè con perdita in tutto o in parte dell’ umanità. A partire dagli anni Sessanta il fumetto diviene il mezzo più popolare di diffusione della cultura cyborg, soprattutto tra bambini e adolescenti (Uomo Ragno, Hulk, i Fantastici Quattro). Negli anni Settanta si continua su questa linea, ma la produzione è finalizzata soprattutto al cinema, tramite cui si diffonde l’idea che nel prossimo futuro tutto ciò di cui si dovrà aver paura sarà più generato che costruito. Negli anni Ottanta, con l’avvento della realtà virtuale, tutto può essere oggettivizzato, rappresentato, in una certa misura fatto vivere, per cui crolla il dogma dell’unicità reale a favore di una pluralità di mondi. Nascono numerose opere letterarie di fantascienza, poi riprese dal cinema o dalle serie televisive, che descrivono situazioni in cui i personaggi vengono in qualche modo intrappolati nella realtà virtuale. In particolare nasce il genere del cyberpunk, nel quale è presente un ambiente totalmente virtuale chiamato cyberspazio o metaverso, teatro delle vicende dei protagonisti, in film come Tron, Il tagliaerbe, Matrix, Il tredicesimo piano, eXistenZ. In molti romanzi cyberpunk viene espresso il concetto che è possibile raggiungere l’immortalità trasferendosi dal mondo reale a quello virtuale o che la realtà virtuale può influenzare in qualche modo la vita reale o addirittura che la stessa vita non è altro che un programma di simulazione. 


Dall’ultima decade del secolo scorso si è andato affermando un nuovo movimento che ha in qualche misura ribaltato la visione del cyberpunk: il movimento post-umano, termine arrivato agli onori della cronaca con la mostra Post Human, curata dal mercante e critico Jeffrey Deitch al Fae Musée d’Art Contemporain di Losanna nel giugno del 1992, che suscitò forti discussioni e riflessioni. Il movimento post umano non solo ha superato le paure nei confronti delle tecnologie, ma vuole che venga generato l’uomo tecnologico, una sorta di auto-evoluzione umana, basata sui sempre nuovi mezzi tecnologici, al fine di creare un uomo sempre migliore: ma migliore in che senso? A questo punto occorre una nuova ridefinizione etica per capire cosa è bene e cosa è male. Il paradigma del cyberpunk ormai è infranto, in quanto l’uomo non è più minacciato da una tecnologia da cui deve difendersi, ma si deve evolvere collaborando con tutte le sue capacità a ridisegnare il corpo e l’uomo migliore, per cui il cyborg diventa l’evoluzione dell’uomo stesso. Per questo oggi il mostro non esiste più, dalle sue ceneri è nato il cyborg che ne ricopre il ruolo: nelle decadi tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, a seconda del panorama sociale o culturale in cui è pensato, viene visto come segno del male che abita l’uomo, come pericolo che lo minaccia, come frutto della grandezza del suo ingegno o come simbolo e realizzazione di ciò che da sempre l’uomo desidera, l’immortalità.


Allo stato attuale il rapporto tra letteratura, o meglio tra riflessione culturale e scienza, mi pare si giochi soprattutto su questo terreno. In fondo ritorniamo a raccontare di un uomo che, tramite la scienza e la tecnica, cerca di potenziare le sue possibilità, il che altro non è che ritornare alla narrazione della vicenda di Dedalo e Icaro, con la consapevolezza che, nonostante il lungo percorso, la meta agognata del volo individuale, libero come quello degli uccelli, non è ancora stata raggiunta, come non è stato realizzato il più grande desiderio dell’uomo: infrangere in qualche modo il limite ontologico della morte.


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